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«StMicroelectronics, il piano per l’Italia: investimenti per 1,3 miliardi» Intervista di Giovanni Stringa, Corriere della Sera
«Stiamo investendo 4 miliardi di dollari in tutto il mondo nel 2023. Di questi, una buona parte è destinata all’Italia: 1,3 miliardi, forse 1,5 miliardi».

Sono le parole di Jean-Marc Chery, presidente e amministratore delegato di StMicroelectronics, la multinazionale hi tech di cui il governo italiano e quello francese hanno il 27%. Il gruppo realizza chip, piccolissimi componenti ad alta tecnologia che si trovano in una miriade di prodotti di largo consumo, dagli smartphone ai televisori, dalle lavatrici alle automobili e ai contatori elettronici.

Siete presenti in tutto il mondo. In quali stabilimenti state investendo di più?

«In Italia nel sito produttivo di Agrate Brianza, con il nuovo impianto di 65 mila metri quadrati, e a Crolles in Francia. Del totale mondiale di 4 miliardi, l’80% è destinato all’aumento della capacità produttiva, con un sostanziale equilibrio tra gli investimenti in Italia e quelli in Francia. Nel sito di Catania contiamo di raddoppiare la produzione entro il 2030».

Nel 2021 il boom della domanda di semiconduttori ha portato sul mercato a situazioni di forte carenza di chip, con l’offerta che non riusciva a tenere il passo. Cosa sta succedendo adesso?

«In alcuni settori la domanda delle aziende clienti è ancora decisamente superiore all’offerta. Sto pensando, per esempio, all’automobile e alle applicazioni industriali, dalla robotica all’immagazzinamento di energia. La situazione non è comunque drammatica come in passato, quando diversi produttori di auto hanno dovuto fermare alcune fabbriche per la mancanza di semiconduttori. In altri comparti – come personal computer, smartphone e elettrodomestici – la carenza è sostanzialmente terminata. E’ il risultato del calo dei consumi di questi prodotti finiti».

Domanda in calo, recessione in arrivo?

«No. La questione è più complessa. L’indebolimento della domanda in alcuni settori arriva dopo il boom post Covid ed è anche il risultato dello smaltimento delle scorte dei magazzini pieni dei clienti. Una volta che gli stock torneranno a livelli fisiologici il mercato riprenderà a crescere».

Quando?

«Tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. Bisogna poi tenere conto che nel mercato dei chip ci sono anche comparti che continuano a tirare, come i già citati casi del risparmio energetico e dell’automotive, spinti dalla decarbonizzazione che richiede una maggiore elettrificazione, dall’automazione dell’industria e dalle nuove norme per una maggiore efficienza e tutela dell’ambiente».

Tra chi sale e chi scende, qual è l’effetto complessivo?

«La quota del mercato che serviamo noi di StMicroelectronics quest’anno crescerà del 2,5%, ma il mercato totale è stimato in discesa del 4%. In ogni caso, all’indebolimento della domanda non corrisponde un calo degli investimenti».

Negli ultimi giorni si è parlato di una possibile nuova fabbrica in Germania, da 10 miliardi di euro, del colosso taiwanese Tsmc. Quale ruolo può giocare l’Europa in un settore chiave come quello dei semiconduttori?

«C’è un trend che trovo molto positivo, come risposta alle crisi internazionali: in Europa politici e funzionari a livello governativo sono d’accordo per aumentare la produzione interna e diversificare gli approvvigionamenti e i Paesi fornitori, senza quindi interrompere le importazioni da singoli mercati chiave. A parte il caso Russia, naturalmente. Il processo, per arrivare a una diversificazione in grado di garantire più sicurezza e autonomia, richiederà alcuni anni, immagino fino a 5».

Voi lavorate molto con la Cina.

«E continueremo a farlo, approfondendo e sviluppando i rapporti. Nel Paese del Dragone abbiamo tanti clienti. E potrebbero nascere nuove partnership con aziende locali per espandere la produzione».

Tornando all’Italia, parallelamente agli investimenti negli impianti proseguiranno anche le assunzioni? Quali profili cercate soprattutto?

«Certamente abbiamo e avremo bisogno di nuovi lavoratori. Principalmente ingegneri, con una laurea – di primo o secondo livello – o un dottorato nel curriculum. Per questo proseguono anche le collaborazioni con le università, ad esempio tramite corsi di master da noi finanziati. Quest’anno abbiamo già assunto 330 persone e ci sono altrettante posizioni aperte. Nel 2022 ne abbiamo assunte quasi 850».

L’automazione crescente sta riducendo la crescita della forza lavoro?

«Parlerei piuttosto di un cambiamento nei profili: meno lavoratori a bassa specializzazione e più professionisti ad alto valore aggiunto, dal controllo dei processi produttivi alla manutenzione di macchinari, che singolarmente valgono anche più di 10 milioni di euro».

E l’intelligenza artificiale?

«Abbiamo già programmi di machine learning con cui i nostri sistemi imparano dai propri errori».

Quali iniziative avete intrapreso sul fronte della tutela ambientale?

«Stiamo lavorando per essere carbon neutral entro il 2027, sviluppare il risparmio energetico e incrementare l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili. Riusciamo poi a riciclare il 40% dei consumi di acqua mentre il restante 60% viene smaltito tramite processi di depurazione che la rendono comunque più pulita di quando è entrata nel nostro impianto».

Avete pubblicato recentemente i risultati trimestrali. Confermate l’obiettivo di raggiungere, su base annua, 20 miliardi di dollari di ricavi?

“In base alla nostra posizione di leadership, al nostro approccio strategico e alla visibilità attuale, prevediamo per il 2023 un altro anno di crescita dei ricavi e miglioramento della profittabilità, tali da poter confermare il target di 20 miliardi di dollari e oltre per il 2025-2027».